Marzo, la primavera sale in montagna

Marzo è il mese che in montagna segna il passaggio dall'inverno alla primavera, con tutte le eccezioni che ogni stagione ci riserva. Ci sono infatti stagioni dove la primavera sui monti fa una breve comparsa già a febbraio, altre dove invece le condizioni invernali perdurano anche oltre fine marzo. Comunque sia, ci sono cose che a prescindere da tutto caratterizzano questo periodo dell’anno e che influenzano fortemente il manto nevoso. Possiamo infatti notare che per esempio:
- le giornate si allungano e il sole è molto più alto  sull'orizzonte, i pendii esposti a nord ricevono sempre più irraggiamento solare, e inoltre l'angolo di incidenza dei raggi solari è più favorevole dal punto di vista energetico. 
- le correnti in quota più frequentemente si dispongono dai quadranti meridionali apportando masse d’aria umida e mite di origine mediterranea. In queste situazioni per esempio, frequentemente al mattino le nubi basse coprono i fondovalle, limitando il rigelo notturno del manto nevoso.
- le incursioni di aria fredda polare non sono una eccezione: improvvisamente l’inverno ricompare portando neve fresca, a volte anche con considerevoli spessori.

Cosa succede al manto nevoso?

I processi che avvengono nel manto nevoso non si riescono a schematizzare, l’evoluzione del manto a primavera dipende ovviamente anche da cosa è successo dall'inizio dell’inverno, ancora prima della prima nevicata.
Comunque sia, indipendentemente dall'andamento della stagione, il manto nevoso in primavera si riscalda. E si riscalda in modo complesso.
Questo riscaldamento influenza molto la stabilità e quindi il pericolo valanghe. Se guardiamo le statistiche degli incidenti, non a caso marzo fa segnare, assieme a febbraio, il più alto numero di incidenti in valanga, in assoluto il più alto numero dei travolti (dinamiche dei gruppi numerosi).
Ma vediamo perché il manto nevoso si riscalda in modo così complesso. E lo facciamo semplificando di molto le cose. Consideriamo quindi solo la radiazione solare che è un parametro molto intuitivo, tralasciando altri fattori quali temperatura e umidità dell’aria, intensità del vento, stratificazione del manto nevoso ecc., altrettanto importanti ma con relazioni più complesse.

Un esempio di profilo “tipo” del manto nevoso a marzo – si noti la complessità della stratificazione nonostante un basso gradiente di temperatura, con resistenze molto eterogenee.
Sappiamo che il sole ha la sua più alta resa energetica quando i suoi raggi colpiscono in modo perpendicolare le superfici esposte. Inoltre, tante più ore splende e tanto maggiore sarà il suo apporto energetico. Abbiamo già detto prima che a marzo il sole ha un angolo di elevazione rispetto all'orizzonte abbastanza elevato, quindi illumina le montagne con una incidenza ottimale dal punto di vista dell’energia. Ma non dappertutto: i pendii esposti a sud per esempio, di più di quelli con altre esposizioni.

Dalla traccia dello sciatore si può notare come anche in alta quota sui pendii a nord, la superficie del manto è in trasformazione – dalle rocce che si scaldano più velocemente piccole colate innocue
Quanta radiazione solare viene assorbita dal manto nevoso dipende anche dalla neve stessa: sui pendii esposti a nord la neve è ancora spesso polverosa e asciutta e la neve asciutta riflette maggiormente e rimane più a lungo fredda. Su quelli a sud invece la neve è più umida e tende ad assorbire più energia. A quote basse e medie, frequentemente la radiazione solare incontra una atmosfera più ricca di umidità che ne riduce l’incidenza diretta ma ne può aumentare quella diffusa.


Pendii nord con manto freddo e polveroso – in fondovalle la primavera avanza invece velocemente.
Oltre a ciò bisogna considerare, come sempre d’altronde, la complessa orografia delle montagne con valli ampie o canali stretti, pendii ripidi e rocciosi o prati con inclinazioni più dolci, zone senza neve e altre con un manto nevoso continuo.
Con esempi di situazioni “tipo” si potrebbe continuare all'infinito incrociando le diverse condizioni con tutti i vari fattori meteo, climatici, orografici e nivologici esistenti, ciò a conferma che la situazione è complessa.
Alla mattina a quote basse si può avere un problema di neve bagnata, salendo di quota troviamo problemi di valanghe di slittamento, più in alto possiamo trovare neve fredda invernale, lastroni da vento molto delicati o magari un manto nevoso con strati deboli persistenti profondi.
Nel corso della giornata le condizioni cambiano: il sole alto all'orizzonte e le miti temperature primaverili fondono rapidamente la crosta portante del mattino, umidificano il manto in profondità, ne fanno diminuire le resistenze; la stabilità varia a seconda della quota ed esposizione, le conseguenze sono valanghe di neve bagnata.

Valanga di slittamento su un pendio erboso poco sopra il limite del bosco.
L’energia del sole in primavera spesso porta anche alla formazione di nuvolosità, e la bella giornata del mattino improvvisamente si può tramutare in una tempesta di neve con fitta nebbia che rende difficile l’orientamento e la valutazione del terreno, cancella le tracce di salita ecc.

Primavera nelle Dolomiti: rovescio nevoso in Vallunga, sole al Passo Gardena. 
A marzo lo spessore di neve al suolo è generalmente abbondante, a volte si registrano i valori massimi stagionali. Gli incidenti valanghivi che accadono in questo mese vedono, nella maggior parte dei distacchi, valanghe di dimensioni medio-grandi. L’equilibrio tra forza di gravità e le resistenze interne al manto nevoso che tengono grandi masse di neve sospese sui pendii, può improvvisamente mutare.
Soprattutto il primo riscaldamento di strati deboli interni al manto, o quando tutta la neve al suolo va in isotermia, sono momenti estremamente critici per la stabilità.
Gli studi più recenti sulle valanghe bagnate hanno portato ad un netto miglioramento previsionale, i modelli matematici di simulazione aiutano molto; purtroppo, a causa delle molteplici variabili in gioco, questo momento è comunque molto difficile da prevedere.

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